Nota alle traduzioni

Tradurre è tradire e questo pare particolarmente vero nell'esprimere in lingue occidentali concetti di una cultura lontana, per certi versi aliena nel pensiero, come quella orientale e in particolare quella cinese. 
Tradurre una traduzione è tradire doppiamente il testo: si aggiunge all'interpretazione del traduttore originale una nuova sensibilità sovrapposta.
Per questo mi rassegno: l'opera con sto compiendo non è la resa dei testi originale, ma una versione italiana di una resa altrui. 
Se ho deciso di compiere un azzardo del genere è perché, a mio modesto modo di vedere, poter usufruire di una qualsiasi versione è meglio che non usufruirne affatto. Ovviamente mi prendo la responsabilità di qualsiasi fraintendimento derivi dal secondo passaggio, dall'inglese all'italiano. 
In ogni caso, spero che qualche sinologo italiano prima o poi si faccia carico di una degna traduzione dal cinese delle opere che presento, soprattutto data la crescente importanza della Cina sullo scenario internazionale. Non sarà mai come leggere l'originale, ma sarà sempre meglio della modesta versione cui io posso contribuire.
La scelta di presentare testi minori e meno noti deriva appunto dalla reperibilità in lingua italiana degli stessi. Mentre  del Tao Te Ching sono presenti numerose traduzioni, anche dal cinese all'italiano, così come dello Zhuang-Zi e del Liezi, non ho riscontrato nei cataloghi italiani alcuna versione dei testi che qui presento.

Una nota a parte sulla mia versione del Tao Te Ching. E' pur vero che il libro di Laozi, sempre che egli sia mai esistito, è solamente il testo cinese, di cui per altro esistono numerose versioni. La resa in lingua occidentale pertanto più che una traduzione è, a mio modesto avviso, necessariamente un'interpretazione, che molto deve alla sensibilità del traduttore.

Personalmente, dopo aver letto numerose versioni in italiano e in inglese, ho capito che nessuno saprà mai rendere il Tao Te Ching, quanto piuttosto un Tao Te Ching. E' sorta in me la necessità di approntare di una versione personale del testo, che toccasse la mia propria sensibilità. La base di questo lavoro è stata la bellissima traduzione di Gia-Fu Feng e Jane English. Grande influenza interpretativa della resa ha avuto anche la versione di D.T. Suzuki e Paul Carus. Altre preziose fonti sono state le versioni di Leonardo Vittorio ArenaLuciano Parinetto e Jan Julius Lodewijk Duyvendak, per quanto quest'ultima sia un'interpretazione filologica e non canonica del testo, ma che, appunto per questo motivo, ha offerto diverse prospettive al testo. Ultimo ma non meno importante l'edizione analitica di Augusto Shantena Sabbadini, che presentando i significati ideogramma per ideogramma, ha rappresentato una fonte essenziale per l'interpretazione personale del testo.
Il mio intento era ottenere una versione che non reinterpretasse le espressioni tipiche dello scritto cinese e che fosse poeticamente elegante, ma non esplicita come altre versioni lette, ossia che mantenesse quell'aura ermetica che ho sempre percepito nel leggerlo e che, a torto o ragione, lo ha fatto accostare da alcuni ai frammenti di Eraclito.
Dopo qualche mese di lavoro è sorta in me la necessità di azzardare il commento dei capitoli. Mentre approfondivo altri testi taoisti e ne discutevo con amici, mi sono spesso state poste domande su alcuni cripticità.   Ho compreso allora che, degno o meno del compito, presentare al "pubblico" una traduzione non supportata da un commento non era un atto di umiltà ma di superbia. Saranno spero clementi con me i sinologi e i dotti di filosofie orientali per aver osato tanto.